La Chiesa di San Giacomo
Al 1500 risale l’edificazione della chiesa di San Giacomo, consacrata il 29 luglio 1514. Non è la stessa chiesa che oggi vediamo sul poggio che domina l’imboccatura del paese: quella odierna è infatti il risultato di notevoli rimaneggiamenti e ristrutturazioni.
L’edificio originario, di certo molto più piccolo, già decretato dal vescovo Pietro Lippomani il 26 ottobre del 1518, fu distinto e reso pienamente autonomo dalla chiesa di San Martino Oltre la Goggia nel 1532. Sorta su un oratorio che pare risalisse al 1200, ricostruita ex novo nel 1675 (in seguito a danneggiamenti subiti per intemperie) e consacrata il 16 luglio del 1682 dal vescovo Daniele Giustiniani, dopo l’ampliamento operato nel 1913-14 su progetto dell’architetto Elia Fornoni, venne riconsacrata il 7 agosto del 1919 dal vescovo Luigi Maria Marelli, che sigillò nell’altare maggiore le reliquie dei santi Alessandro e Ippolito.
Perché la Chiesa è così lontana dall’abitato?
La sua storia è semplice e complicata ad un tempo. Le baite del Pegherolo, abitate da tanti pastori, volevano vedere la loro Chiesa per avere la presenza, quasi fisica, della Divinità, e anche quando il Vescovo consigliò di costruire la Chiesa in una posizione più comoda, gli abitanti opposero un’affettuosa resistenza, e la vollero lì, dov’è ancora ora, vicino ai loro morti, dove gli avi, per secoli, si erano alternati nella preghiera, in un luogo carico di memorie.
Scriveva l’Ing. Beretta (1968): “Posta in posizione molto bella, la Chiesa Parrocchiale presenta il tradizionale orientamento con l’altare rivolto a est ed è circondata da tutti i lati da un discreto sacrato. La facciata verso ovest è stata eseguita durante l’ultimo ampliamento (1913) ed è molto semplice, conclusa di gronda in cemento a spiovente. La decora l’ampio portale in pietra artificiale con tre archetti in opera su colonne in graniglia sassuola. Sopra tale ingresso una lapide di marmo nero, sagomata ed ornata di grande timpano curvo sorretto da mensoloni.
Esternamente sul lato sud la chiesa presenta l’ingresso secondario preceduto da ampio porticato sormontata di stemma con aquila bicipite e con scritta, fa da ornamento e da documento.
Il bellissimo blocco di pietra (donato dalla Signora Iole in memoria del marito, Dott. Gianni Calvetti De Maisis - 1922-1985), istoriato possentemente da mano ignota quasi per fissare nella memoria storica del Paese i tre ceppi famigliari di Piazzatorre ora sormonta la porta d’ingresso della Chiesa, quella rivolta a mezzogiorno, la più usata e senz’altro resa più solenne dal portico e da altri elementi quali la lapide istoriata, lo stemma vescovile, la lapide dei caduti. Quest’antica scultura del secolo XVII raffigura i tre stemmi delle famiglie originarie di Piazzatorre. E precisamente: al centro quello della famiglia “Arici”, a sinistra quello della famiglia “De Maisis” e a destra quello della famiglia “Arioli”.
I nomi di queste tre famiglie si trovano tra l’altro ripresi nella lapide che era posta immediatamente sopra la porta d’ingresso, e che ora è stata collocata a fianco, abbassata. Il testo della lapide, scritto in latino, ricorda che l’edificio della Chiesa, dedicata a S. Giacomo, è stato riordinato nel 1675, per interessamento di “Vincenzo Arici De Montanis, Pietro Giacomo De Maisis e Giovanni Battista Arioli De Rivoris” (attualmente, scomparsi i De Maisis e gli Arici de Rivoris, restano a consolidare le generazioni sei ceppi familiari: gli Arioli, i Bianchi, i Berera, i Calvetti, i Fognini e i Piatti. Al di sopra di tutti dominano gli Arioli: il "fuoco" più celebre, più noto e più significativo della Gens Plateaturrensis).
La decorazione degli interni è sobria e presenta affreschi nelle volte e nella cupola; più in particolare nella volta della navata gli affreschi che rappresentano la chiamata dell’Apostolo S. Giacomo e il suo martirio (Servalli - Cavalleri), nelle pareti della cupola la glorificazione di S. Giacomo e santi patroni, nei pennacchi gli Evangelisti (Morgari, 1915) e nel catino la glorificazione della croce (Cavalleri). Sui pilastri della tazza centrale troviamo due ottime tele attribuite con riserva a Francesco Zucco, raffiguranti S. Bonaventura cardinale e S. Lodovico di Tolosa; sotto di esse, due belle icone di recente fattura (1991), realizzate da Emiliano Tironi di Bergamo che raffigurano la Madre di Dio e la Trinità. Di riscontro S. Filippo Neri e S. Romualdo dipinti da G. Armani nel 1943. Di Beppe Facchinetti le tele di S. Anna e dell’Immacolata (1932).
La cappella di sinistra è dedicata alla Madonna del Rosario, con il bell’altare in marmo grigio intarsiato con fregi e uccelli. L’ancona pure in marmo è decorata da due colonne rosse a tutto tondo che reggono il fastigio. A destra la porta che immette al campanile e sopra di essa la nicchia di S. Giuseppe. La cappella di destra è dedicata a S. Giacomo ed è dotata di altare in legno scolpito, dipinto e dorato; ai lati del santo due statue in legno raffiguranti la fede e la speranza (Giosuè Marchesi, 1915). A destra si trova la bussola dell’ingresso laterale ed a sinistra la porta d’accesso alla Sacrestia.
Il presbiterio, così come lo vediamo adesso, è molto differente dalla sua forma originaria: in principio era sopraelevato di tre gradini in marmo rosso Verona e delimitato da una balaustra sagomata in marmo rosso di Camerata e nero (modificati nel 1984). Al centro domina tuttora l’altare maggiore in legno scolpito e completamente dorato, con in mezzo il tabernacolo sormontato di cupoletta ed alle estremità dei candelabri due angeli adoranti. Ai lati del presbiterio due banchi per paratie per arredi in noce decorati di belle lesene scolpite; sopra i banchi, le cantorie (quella di destra è dotata d’organo); dietro l’altare segue il coro, pure in noce, costituito da tredici stalli separati da lesene decorate da cariatidi d’angeli.
Sorprendente per qualità e copia la dotazione degli arredi sacri, con paramenti in ganzo, raso e seta del 1600-1700, un calice in rame del 1500, un ostensorio d’argento del 1700, tre lampade pure d’argento sbalzato e graffito, di cui la maggiore reca gli stemmi araldici delle famiglie Arioli, De Maisis e Simoni, e altri arredi in rame sbalzato e argentato.
Dietro l’altare maggiore spicca il polittico firmato Agostino Caversegno (Facheris da Presezzo - 1537), a nove scomparti che raffigurano a partire dall’alto: l’Eterno Padre al centro con ai lati l’Angelo Custode e S.Anna, madre della B.V.Maria sposa di Gioacchino; sotto Dio Padre la Vergine con Bambino e al lato sinistro S.Sebastiano, martire sotto Diocleziano, e S.Rocco di Montpellier, santo pellegrino protettore contro il flagello della peste. A destra S.Antonio Abate monaco illustre della Chiesa antica (250-356). In basso, nello scomparto di centro, S. Giacomo Apostolo Maggiore, primo evangelizzatore della Spagna, S.Pietro e S. Giovanni Battista. La nuova grande ancona in legno intagliato e dorato che lo incornicia fu eseguita da Giosuè Marchesi nel 1915 su disegno del Fornoni.
Ai suoi lati sono poste due tele raffiguranti: a sinistra S. Antonio da Padova al quale appare sulle nubi il Bambin Gesù fra gli angeli, dipinto nel 1677 (in basso si notano i ritratti dei donatori con lo stemma della famiglia Arioli); a destra S. Giovanni della Croce in estasi davanti alla croce sorretta da un angelo, di autore ignoto.
L’organo fu costruito da Adeodato Bossi nel 1836, restaurato da Francesco Roberti nel 1914 e rinnovato dai Piccinelli nel 1938.
La bella torre campanaria, tutta in blocchi di salso - serizzo rosso locale, fu innalzata dal 1709 al 1712 da tal Gervasoni di Bordogna. Il concerto a cinque campane, già fuso da Giovanni Crespi di Crema e consacrato nel 1846 da mons. Sanguettola vescovo di quella città, dopo la spoliazione dell’ultima guerra fu sostituito con l’attuale concerto in “Do maggiore” fuso da Angelo Ottolina nel 1947 ed inaugurato nel mese di settembre dello stesso anno.
Nel 1932 un rovinoso incendio distrusse quasi tutto l’archivio parrocchiale, ricco di rari documenti e di preziose testimonianze.
Esistono altre due chiesine nel centro abitato: S. Antonio, un delizioso oratorio del ‘700 annesso alla casa Arioli (restaurato di recente) e S. Lucia, altro oratorio situato più a monte, nella contrada dei De Maisis. Fu edificata nel tardo ‘600 per ragioni di boom demografico e per esigenze devozionali. Avere una chiesa vicina a casa piaceva a tutti, perché in essa si trovavano quel tanto d’accoglienza e di sicurezza che la miseria della vita non dava.